Ricorso della Regione Lombardia (codice fiscale n.  80050050154),
con sede in Milano (20124), piazza Citta'  di  Lombardia,  n.  1,  in
persona del Presidente pro tempore, Roberto Maroni,  rappresentata  e
difesa, in forza di procura a margine del presente atto ed in  virtu'
della Deliberazione di Giunta regionale n. X/1908 del 30 maggio  2014
(doc. 1), dal prof. avv. Francesco Saverio Marini del  foro  di  Roma
(codice           fiscale           MRNFNC73D28H501U);           pec:
francescosaveriomarini@ordineavvocatiroma.or   gfax.    06.36001570),
presso il cui studio in Roma, via dei Monti Parioli n. 48, ha  eletto
domicilio; 
    Ricorrente contro il Governo della  Repubblica,  in  persona  del
Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, con sede  in  Roma
(00187), Palazzo Chigi -  Piazza  Colonna  n.  370,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con  domicilio  in  Roma
(00186), via dei Portoghesi n. 12, Resistente per la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale della  legge  7  aprile  2014,  n.  56,
recante «Disposizioni sulle  Citta'  metropolitane,  sulle  Province,
sulle unioni e fusioni di Comuni  (Abolizione  Province)»  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 7 aprile 2014,
n. 81, limitatamente all'art. 1, commi 7, 8, 9, 19, 25, 42,  54,  55,
56, 58, 69, 89, 90, 91, 92 e 95, di tale atto normativo. 
 
                                Fatto 
 
    1. La legge 7 aprile  2014,  n.  56,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 81 del 7 aprile 2014, detta un'ampia riforma in  materia
di  enti  locali,  prevedendo,  nelle  more  dell'approvazione  della
riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione,  l'istituzione  e
la  disciplina  delle  Citta'  metropolitane,  la  ridefinizione  del
sistema delle Province, nonche' una nuova disciplina  in  materia  di
unioni e  fusioni  di  Comuni,  incidendo  anche  sull'assetto  delle
funzioni amministrative  spettanti  a  tali  livelli  di  governo.  A
seguito della proposizione della questione di fiducia  da  parte  del
Governo nella seduta del 26 marzo 2014, la legge  si  compone  di  un
unico articolo comprendente 151 commi,  e  ricomprende  le  modifiche
introdotte  dalla  Commissione  Affari  costituzionali  del   Senato,
assegnataria del disegno di legge in sede referente. 
    2. Al riguardo occorre premettere che  la  materia  del  riordino
degli enti locali e' stata oggetto di recenti interventi legislativi,
che tuttavia non hanno superato il vaglio della Corte costituzionale.
Il  riferimento  e'  all'articolo  23  del  d-l.  n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del  2011,  e  agli
articoli  17  e  18  del  d-l  n.  95  del  2012,   convertito,   con
modificazioni,   dalla   legge   n.   135   del   2012,    dichiarati
incostituzionali con la sentenza n. 220 del 3 luglio 2013. 
    3. Riassumendo, con  l'articolo  23  del  d-l  n.  201  del  2011
(convertito dalla legge n. 214 del 2011), il legislatore  aveva,  tra
l'altro, modificato la normativa in tema di funzioni  delle  Province
(limitandole al solo indirizzo  e  coordinamento  dell'attivita'  dei
Comuni) e in tema di  organi  delle  stesse  (eliminando  la  Giunta,
prevedendo che il Consiglio fosse  composto  da  non  piu'  di  dieci
membri eletti dagli organi elettivi dei Comuni, e disponendo  che  il
Presidente della Provincia fosse eletto dal  Consiglio  Provinciale).
Con l'articolo 17 del d-l. n. 95 del 2012 (convertito dalla legge  n.
135 del 2012),  il  legislatore  aveva  poi  disposto  il  cosiddetto
«riordino delle Province», modificando  nuovamente  la  normativa  in
tema delle relative funzioni (ripristinandone il nucleo  essenziale),
e tenendo  ferma  la  disciplina  sugli  organi  delle  stesse,  come
introdotta dal menzionato articolo  23  del  d-l  n.  201  del  2011.
L'articolo 18 del d-l.  95  del  2012,  inoltre,  aveva  previsto  la
soppressione delle Province di Roma, Torino, Milano, Genova, Bologna,
Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria,  disponendo  la  contestuale
istituzione delle relative  Citta'  metropolitane  a  partire  dal 1°
gennaio 2014. Lo stesso articolo 18 disciplinava, inoltre, gli organi
e le funzioni delle Citta' metropolitane. 
    4. Le  norme  citate  sono  state  dichiarate  costituzionalmente
illegittime per violazione dell'art. 77  Cost.,  in  quanto  un  atto
normativo  come  il  decreto-legge  e'  stato  ritenuto  inidoneo  ad
introdurre «assetti ordinamentali che superino  i  limiti  di  misure
meramente organizzative». Nella menzionata sentenza n. 220 del  2013,
inoltre, la Consulta ha osservato che l'articolo 117, secondo  comma,
lett.  p),  della  Costituzione,  nell'attribuire   alla   competenza
legislativa esclusiva dello Stato la disciplina  della  «legislazione
elettorale, organi di governo  e  funzioni  fondamentali  di  Comuni,
Province e Citta' metropolitane», «indica  le  componenti  essenziali
dell'intelaiatura dell'ordinamento degli enti locali, per loro natura
disciplinate da leggi destinate a durare nel tempo e  rispondenti  ad
esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le  linee
di svolgimento dei principi  costituzionali  nel  processo  attuativo
delineato dal legislatore statale ed integrato da quelli  regionali».
Riferendosi, ancora, allo strumento della decretazione di urgenza, si
e' poi rilevata l'inadeguatezza del decreto-legge «a  realizzare  una
riforma organica e di sistema, che non solo trova le sue  motivazioni
in esigenze manifestatesi da non breve periodo, ma richiede  processi
attuativi necessariamente protratti nel tempo, tali da poter  rendere
indispensabili sospensioni di efficacia, rinvii  e  sistematizzazioni
progressive». 
    5. All'esito della  sentenza  di  annullamento  della  Corte,  il
legislatore dello Stato e' intervenuto nuovamente in materia di  enti
locali. La legge n. 56 del 2014 ha dettato norme in materia di Citta'
metropolitane,  di  Province,  di  unioni  e   fusioni   di   Comuni,
introducendo una disciplina che  si  presta  a  numerose  censure  di
incostituzionalita'. 
    6. Per quanto  riguarda  le  Citta'  metropolitane,  il  comma  7
dell'art. 1, individua gli  organi  della  Citta'  metropolitana  nel
Sindaco metropolitano, nel Consiglio metropolitano e nella Conferenza
metropolitana. I successivi commi 8 e 9 dell'art. 1,  determinano  le
competenze e i poteri dei suddetti organi. Il comma 19  dell'art.  1,
prevede che il Sindaco del Comune capoluogo e' di diritto il  Sindaco
metropolitano. Il comma 25 dell'art. 1, stabilisce che  il  Consiglio
metropolitano e' eletto dai Sindaci e dai  Consiglieri  comunali  dei
Comuni  della  Citta'  metropolitana,  e  che   sono   eleggibili   a
Consigliere metropolitano i  Sindaci  e  i  Consiglieri  comunali  in
carica.  Il  comma  42  dell'art.  1,  prevede  che   la   Conferenza
metropolitana e' composta dal Sindaco metropolitano, che la presiede,
e dai Sindaci dei Comuni appartenenti alla Citta' metropolitana. 
    7. Per quanto riguarda le Province, i commi 54 e 55 dell'art.  1,
rispettivamente    individuano    gli    organi    della    Provincia
«esclusivamente»  nel  Presidente  della  Provincia,  nel   Consiglio
Provinciale e nell'Assemblea dei Sindaci, e definiscono le rispettive
competenze e poteri. Il comma 56 dell'art. 1, prevede che l'Assemblea
dei sindaci e' composta dai  Sindaci  dei  Comuni  appartenenti  alla
Provincia. Il comma 58 dell'art.  1,  stabilisce  che  il  Presidente
della Provincia e' eletto dai Sindaci e dai  Consiglieri  dei  Comuni
della Provincia. Il comma 69 dell'art. 1, stabilisce che il Consiglio
Provinciale e' eletto dai Sindaci  e  dai  Consiglieri  Comunali  dei
Comuni  della  Provincia,  e  che  sono  eleggibili   a   Consigliere
Provinciale i Sindaci e i Consiglieri Comunali in carica. 
    8. Quanto al riordino delle funzioni delle Province, il comma  89
dell'art. 1, stabilisce che lo Stato e le Regioni procedono,  secondo
le rispettive competenze, all'attribuzione delle funzioni Provinciali
diverse da quelle fondamentali (individuate ai precedenti commi 85  e
86), in attuazione dell'art. 118 Cost., nonche' al fine di conseguire
le finalita' ivi elencate. Il comma 90 dell'art. 1, individua  alcuni
«principi fondamentali  della  materia  e  principi  fondamentali  di
coordinamento della finanza pubblica ai sensi  dell'art.  117,  terzo
comma, della Costituzione», in relazione al caso in cui  disposizioni
normative  statali  o  regionali  riguardanti  servizi  di  rilevanza
economica prevedano l'attribuzione di funzioni di organizzazione  dei
predetti servizi, di competenza comunale  o  Provinciale,  a  enti  o
agenzie  in  ambito  Provinciale  o  sub-Provinciale.  Il  comma   91
dell'art. 1, stabilisce che lo Stato e le Regioni individuano,  entro
tre mesi dall'entrata in vigore della legge, «le funzioni di  cui  al
comma 89 oggetto del riordino e  le  relative  competenze»,  mediante
accordo sancito in Conferenza unificata,  sentite  le  organizzazioni
sindacali  maggiormente  rappresentative.  Ai  sensi  del  comma   92
dell'art. 1, entro tre mesi dalla data di  entrata  in  vigore  della
legge,   dovranno   essere   stabiliti   i   criteri   generali   per
l'individuazione dei beni strumentali,  risorse  finanziarie,  umane,
strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni che
devono essere trasferite dalle Province agli enti subentranti a norma
dei commi precedenti; a tal  fine  lo  strumento  individuato  e'  un
D.P.C.M. preceduto da  intesa  con  la  Conferenza  unificata,  e  le
risorse da trasferire agli enti  subentranti  sono,  in  particolare,
quelle gia' spettanti alle Province ai  sensi  dell'art.  119  Cost.,
detratte quelle necessarie alle funzioni fondamentali.  Il  comma  95
dell'art. 1, impone alla  Regione,  sentite  le  OO.SS.  maggiormente
rappresentative, di dare attuazione all'accordo di cui al  comma  91,
entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, prevedendo,
in caso contrario, l'esercizio del potere sostitutivo ex art. 8 della
legge 5 giugno 2003, n. 131. 
    9. Tutto cio'  premesso,  con  il  presente  ricorso  la  Regione
Lombardia, come in epigrafe rappresentata e difesa, impugna la  legge
7 aprile 2014,  n.  56,  e,  in  particolare,  le  norme  piu'  sopra
menzionate, in quanto lesive delle proprie attribuzioni garantite  da
norme costituzionali, nonche' delle attribuzioni  degli  enti  locali
nei quali la Regione si articola, chiedendo a codesta Ecc.ma Corte di
volerne  dichiarare  l'incostituzionalita'  alla  luce  dei  seguenti
motivi di 
 
                               Diritto 
 
    In via preliminare, si sottolinea il consolidato indirizzo  della
Corte costituzionale, ribadito, da ultimo, con la citata sentenza  n.
220 del 3 luglio 2013,  secondo  cui  le  Regioni  possono  agire  in
giudizio  non  solo  a  salvaguardia  delle  proprie  attribuzioni  e
competenze, ma  anche  con  riguardo  alle  attribuzioni  degli  enti
locali, quando sia  lamentata,  come  nella  specie,  una  potenziale
lesione  delle  sfere  di  competenza  dei  medesimi.  Inoltre   sono
considerate ammissibili le censure fondate su parametri non attinenti
direttamente al riparto delle  competenze  legislative  fra  Stato  e
Regioni, qualora - come nel caso di specie - la lamentata  violazione
sia potenzialmente idonea  a  determinare  una  compromissione  delle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, o ridondi  sullo
stesso riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni. 
    Cio' chiarito, si passera' ora all'analisi dei singoli profili di
illegittimita' costituzionale delle norme impupate. 
A) Sulla disciplina delle Citta' metropolitane 
I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 7, 8, 9, 19 25  e
42, della legge n. 56 del 2014, per violazione degli articoli  1,  3,
5, 48, 114, 117, comma 1, 118, 119 e 138 Cost.. 
    1.  Le  norme  che  disciplinano  la  forma  di   governo   delle
neo-istitutite Citta' metropolitane (al  pari,  come  si  vedra',  di
quelle disciplinanti la forma di governo delle Province residue) sono
avvinte da numerosi profili di incostituzionalita'. 
    Volendo riassumerne brevemente il contenuto, il comma 7 dell'art.
1 stabilisce che sono organi della Citta'  metropolitana  il  Sindaco
metropolitano,   il   Consiglio   metropolitano   e   la   Conferenza
metropolitana. 
    I commi 8 e 9 dell'art. 1 individuano  poteri  e  competenze  dei
suddetti Organi. In particolare, il Sindaco metropolitano rappresenta
l'ente, convoca e presiede il Consiglio metropolitano e la Conferenza
metropolitana, sovrintende  al  funzionamento  dei  servizi  e  degli
uffici  e  all'esecuzione  degli  atti,  nonche'  esercita  le  altre
funzioni attribuite dallo  Statuto.  Il  Consiglio  metropolitano  e'
l'organo di indirizzo e controllo, propone alla Conferenza lo Statuto
e le sue modifiche, approva regolamenti, piani e  programmi,  approva
in via definitiva i bilanci dell'ente, ed esercita le altre  funzioni
attribuite dallo statuto. La  Conferenza  metropolitana,  invece,  ha
poteri propositivi e consultivi, «secondo quanto  di  disposto  dallo
statuto»,  adotta  o  respinge  lo  statuto  e  le   sue   successive
modificazioni (con i voti  che  rappresentino  almeno  un  terzo  dei
Comuni compresi nella Citta' metropolitana  e  la  maggioranza  della
popolazione residente), ed esprime il parere sui bilanci dell'ente. 
    Il  successivo  comma  19  prevede  che  il  Sindaco  del  Comune
capoluogo e'  di  diritto  il  Sindaco  metropolitano.  Il  comma  25
stabilisce che il Consiglio metropolitano - composto,  ai  sensi  del
comma 22, dal Sindaco metropolitano e da  un  numero  di  Consiglieri
variabile  a  seconda  della  consistenza  demografica  della  Citta'
metropolitana - e' eletto dai sindaci e dai  Consiglieri  dei  Comuni
della Citta' metropolitana,  e  che  sono  eleggibili  a  consigliere
metropolitano i sindaci e i Consiglieri comunali in carica. Il  comma
42 dell'art. 1, infine, prevede che la  Conferenza  metropolitana  e'
composta dal Sindaco metropolitano, che la presiede,  e  dai  sindaci
dei Comuni appartenenti alla Citta' metropolitana. 
    2. In primo luogo, e' evidente l'incostituzionalita' dell'art. 1,
comma 19, per violazione degli artt. 1 e 48 Cost.. La norma in esame,
stabilendo l'investitura di diritto del Sindaco del Comune  capoluogo
come Sindaco della Citta' metropolitana, impone agli  elettori  degli
altri Comuni parimenti appartenenti al nuovo  ente  metropolitano  un
organo che ad essi  non  risulta  riferibile  ne'  direttamente,  ne'
indirettamente. 
    3. Quanto agli altri organi, non puo' sfuggire come il  «governo»
della Citta' metropolitana risulti costruito  sostanzialmente  su  un
modello di rappresentanza di secondo grado. 
    Il Consiglio, infatti, al quale l'art. 1, comma  8,  della  legge
gravata, conferisce il potere di  adottare  la  maggior  parte  delle
decisioni dell'ente, e' organo elettivo indiretto, ed e' istituito in
modo da non rispondere ne' al corpo elettorale  ne'  alla  Conferenza
metropolitana. 
    Deve peraltro escludersi che quest'ultima partecipi della  natura
di una camera elettiva. Cio' discende sia  dal  fatto  che  la  legge
gravata non ne prevede l'elezione diretta da parte dei cittadini, sia
da specifiche caratteristiche di carattere funzionale e  strutturale.
Precisamente, la Conferenza non  esercita  alcuna  funzione  che  sia
tipica di una camera  elettiva,  essendole  riservato  (comma  8)  un
potere deliberativo circoscritto alla sola adozione dello  Statuto  e
all'espressione del parere obbligatorio  sugli  schemi  di  bilancio,
nonche' poteri esclusivamente «propositivi  e  consultivi»,  peraltro
integralmente rimessi alla disciplina degli statuti,  e  senza  alcun
vincolo circa la necessita' di un voto ponderato. 
    Per tutto il resto, invece,  le  ordinarie  funzioni  decisionali
dell'ente  (normative  e  amministrative)  sono  distribuite  tra  il
Sindaco e il Consiglio metropolitano, senza che la  Conferenza  possa
in  alcun  modo  far  valere  nei  loro  confronti  un  giudizio   di
responsabilita' politica per il relativo operato. 
    4. Ebbene, una forma di governo, quale quella  individuata  dalle
norme impugnate, nella quale nessun organo e' eletto direttamente, si
pone in aperto contrasto, in primo  luogo,  con  il  principio  della
rappresentanza politica democratica e con il principio di  sovranita'
popolare di cui all'art. 1 della  Costituzione,  letto  in  combinato
disposto con gli artt. 5 e 114 Cost.. 
    L'art.  1  Cost.,  definendo   l'Italia   come   una   Repubblica
democratica fondata sul principio della sovranita'  popolare,  impone
inequivocamente che ogni organo al quale sono  affidate  funzioni  di
indirizzo politico debba essere inserito  in  una  forma  di  governo
quanto meno coerente con tali principi. E detti principi non  possono
non trasferirsi, per osmosi, anche alle  Citta'  metropolitane  (come
pure agli altri enti territoriali contemplati dall'art.  114  Cost.),
se e' vero che queste ultime sono  inserite  nell'architettura  della
Repubblica. Con la conseguenza diretta che anche la forma di  governo
delle  Citta'  metropolitane  deve  essere  organizzata  in  modo  da
rispecchiare il principio della sovranita' popolare.  Codesta  Ecc.ma
Corte  non  ha  mancato  di  rilevare,  in  proposito,   che   «nella
formulazione del nuovo art. 114 Cost. gli enti territoriali  autonomi
sono collocati a fianco dello Stato come elementi  costitutivi  della
Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la Comune
derivazione dal principio democratico e  dalla  sovranita'  popolare»
(sent. n. 106 del 2002). 
    Le conclusioni che precedono risultano avvalorate anche alla luce
del principio autonomistico di cui all'art. 5 della Costituzione, dal
quale risulta che i  livelli  di  autonomia  titolari  di  competenze
pubbliche sono partecipi della Repubblica,  e  dunque,  dello  stesso
modello repubblicano a legittimazione democratica. 
    Si tratta di principi cardine  nell'architettura  costituzionale,
che disegnano e legittimano la nostra forma di  governo  repubblicana
e, con essa, quella  delle  articolazioni  territoriali  riconosciute
espressamente  dalla  Costituzione  quali  parti  della   Repubblica.
Principi che, dunque, avrebbero potuto essere derogati  soltanto  con
legge costituzionale, e non certo attraverso lo strumento della legge
ordinaria, che da essi promana e ai quali e' evidentemente vincolata.
Ne discende dunque la violazione, da  parte  delle  norme  impugnate,
anche dell'art. 138 Cost.. 
    Peraltro, l'assenza di democraticita' che  connota  la  forma  di
governo delle neo-istituite citta' metropolitane, di cui si e' appena
detto,  non  e'  nemmeno  compensata,  nei  due  organi  ad  elezione
indiretta  (sindaco  metropolitano  e  consiglio  metropolitano)   da
un'adeguata capacita' rappresentativa  delle  minoranze  dei  singoli
comuni. Si ribadisce, sul punto, che a norma del comma  19  dell'art.
1, il sindaco metropolitano e'  di  diritto  il  sindaco  del  comune
capoluogo della citta' metropolitana, mentre il successivo  comma  25
dell'art. 1, circoscrive l'elettorato attivo e passivo per l'elezione
del consiglio metropolitano ai Sindaci e ai Consiglieri comunali  dei
Comuni    della    citta'    metropolitana.    Ebbene,    considerata
l'operativita', nel sistema elettorale dei Comuni, del meccanismo del
«premio di maggioranza», e' ben possibile che sia  i  Sindaci  che  i
Consiglieri comunali chiamati ad eleggere il Consiglio metropolitano,
nonche', se eletti, a farne parte, siano espressione di una  medesima
parte politica. 
    Non vi e' dubbio che  tale  ulteriore  vizio  di  democraticita',
riconducibile ad una distorsione della  rappresentanza  proporzionale
imposta  a   monte   ai   fini   di   governabilita',   sovraccarichi
ulteriormente il difetto di  rappresentativita'  degli  organi  della
citta'  metropolitana,  gia'  dovuto  all'assenza  di  legittimazione
democratica degli stessi. 
    Concludendo, la nuova forma di  governo  metropolitano  disegnata
dalle norme impugnate non puo' in alcun  modo  essere  ricondotta  al
modello delle forme di governo  democratico-rappresentative  (modello
che,  per  tutto  quanto  detto,  non  puo'   non   estendersi   alle
articolazioni territoriali della Repubblica), ed e' pertanto  elusiva
degli artt. 1, 5, 114 e 138 della Costituzione. 
    5.   Le   norme   rubricate   meritano   di   essere   dichiarate
incostituzionali anche per violazione  dell'art.  117,  primo  comma,
della Costituzione, in relazione all'art. 3,  comma  2,  della  Carta
europea dell'autonomia locale, trattato  internazionale  concluso  in
sede di Consiglio d'Europa e reso esecutivo in Italia con la legge 30
dicembre 1989, n. 439. 
    L'art. 3, al comma 1, della Carta, stabilisce che «Per  autonomia
locale, s'intende  il  diritto  e  le  capacita'  effettiva,  per  le
collettivita' locali, di regolamentare  ed  amministrare  nell'ambito
della  legge,  sotto  la  loro  responsabilita',  e  a  favore  delle
popolazioni, una parte importante di affari pubblici». 
    Il secondo comma  dell'art.  3  specifica  poi,  per  quanto  qui
rileva, che «Tale diritto  e'  esercitato  da  Consigli  e  Assemblee
costituiti da membri eletti a suffragio libero,  segreto,  paritario,
diretto e universale,  in  grado  di  disporre  di  organi  esecutivi
responsabili nei loro confronti». 
    La norma in esame impone, dunque, la necessita' che l'autonomia o
autogoverno locale (e tale e' senz'altro la Citta' metropolitana)  si
eserciti necessariamente almeno per mezzo  di  consigli  o  assemblee
elette a suffragio, libero, segreto e uguale,  che  esprimano  organi
esecutivi politicamente responsabili. Evidentemente, la Carta europea
prescrive che nel governo delle autonomie locali  vi  sia  almeno  un
organo ad elezione popolare diretta, cui gli organi  esecutivi  siano
legati  da  un  rapporto  di  responsabilita'  politica.   Cio'   che
assolutamente non ricorre, per tutto quanto  detto,  nel  modello  di
governo metropolitano disegnato dalle norme impugnate. 
    Non vi e' dubbio che il menzionato art. 3, comma  secondo,  della
Carta, assuma il rango di norma cogente, la cui violazione  da  parte
del legislatore dello Stato deve censurarsi con  la  declaratoria  di
incostituzionalita'  ai  sensi  dell'art.  117,  primo  comma,  della
Costituzione. Del resto la Corte costituzionale  ha  ormai  da  tempo
accolto la tesi per cui anche le  norme  internazionali  pattizie  (i
trattati internazionali) integrino il parametro di  costituzionalita'
delle legge, mediante la tecnica dell'interposizione normativa  (cfr.
le note «sentenze gemelle» nn. 348 e 349 del 2007). 
    Con  specifico  riferimento  alla  Carta  europea  dell'autonomia
locale, peraltro, codesta Ecc.a Corte, a seguito di un  incontro  con
una delegazione del «Congress of local and regional authorities»  del
Consiglio   d'Europa,   avvenuto   il   3.11.11,   ha   espressamente
riconosciuto  come  quest'ultima,  «costituendo   atto   di   diritto
internazionale recepito con legge ordinaria nell'ordinamento interno,
ricada nell'alveo della previsione del 1° comma dell'art. 117  Cost.,
che impone al legislatore statale e regionale il rispetto dei vincoli
derivanti dagli obblighi internazionali»  ,  sicche'  al  legislatore
«non  dovrebbe  essere  consentito  dettare   discipline   con   essa
contrastanti» (cfr.  il  documento  L'applicazione  in  Italia  della
«Carta europea dell'autonomia locale», disponibile sul sito web della
consulta,
http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU_228
_Carta_eur_aut_locale_questioni.pdf). 
    Concludendo, in forza dell'art. 117, comma 1, della Costituzione,
il legislatore aveva l'obbligo  di  conformarsi  alla  Carta  europea
dell'autonomia locale, e, nello specifico, al suo articolo  3,  comma
2, il quale prescrive chiaramente la necessita' che la nella forma di
governo dell'autonomia locale ci sia almeno un  organo  collegiale  a
elezione popolare diretta, che  esprima  un  esecutivo  politicamente
responsabile. 
    6. Sotto connesso profilo, le norme impugnate  violano  anche  il
principio di sussidiarieta' verticale  di  cui  all'art.  118  Cost.,
nonche' il principio di ragionevolezza di cui all'art.  3  Cost..  Il
primo,  come  noto,  impone  di  allocare  una  determinata  funzione
amministrativa al livello piu' prossimo al cittadino, ma perche' cio'
possa  avvenire  razionalmente   e'   necessario   che   i   processi
deliberativi degli enti costitutivi della Repubblica siano affidati a
livelli di Governo che  risultino  in  qualche  misura  omologhi,  si
potrebbe dire «omogenei» quanto al grado di democraticita'. 
    La creazione di un livello di governo intermedio (cio'  vale  sia
per le Citta' metropolitane sia, come si vedra', per le Province) non
legittimato democraticamente determina  conseguenze  paradossali  sul
piano dei  rapporti  fra  principio  di  sussidiarieta'  e  principio
democratico. Il principio di  sussidiarieta'  esclude  che  si  possa
allocare la funzione (ove cio' non sia necessario) ad un  livello  di
governo piu' comprensivo,  ove  quello  inferiore  sia  in  grado  di
assolvervi; d'altro canto,  e'  contraria  al  principio  democratico
l'allocazione di una funzione amministrativa in capo a  soggetti  non
responsabili (sia pur indirettamente) di fronte al popolo sovrano. Il
paradosso sta in cio',  che  la  realizzazione  di  un  principio  si
traduce  nella  negazione  dell'altro,  il  che  e'   ovviamente   in
contraddizione con lo spirito della riforma  del  Titolo  V,  che  ha
accolto la sussidiarieta' quale strumento di attuazione e  diffusione
dei  processi  democratici,  non  solo  di  razionalizzazione   della
struttura dello Stato. 
    Insomma, la forma  di  governo  disegnata  dalla  legge  gravata,
costituita da organi elettivi di secondo grado non  responsabili  ne'
rispetto  al  corpo  elettorale  di  riferimento,  ne'  rispetto   ad
un'Assemblea direttamente  elettiva,  risulta  incompatibile  con  il
vigente modello  costituzionale  di  allocazione/distribuzione  delle
funzioni  amministrative,   ed   anzi   ne   comporta   illogicamente
l'inversione, con manifesta violazione degli artt. 1, 3 e 118 Cost.. 
    7. Ma non basta. La forma di  governo  metropolitano  individuata
dalle norme gravate, nella quale la totalita'  degli  organi  non  ha
legittimazione democratica diretta, si pone altresi' in contrasto con
l'art. 119 Cost.. L'autonomia finanziaria di entrata  e  di  spesa  e
l'autorita' impositiva  riconosciuta  agli  enti  territoriali  dalla
norma  in  esame,  infatti,  e'  stata  storicamente  e  unanimemente
ricondotta, con ratio evidente,  alla  responsabilita'  degli  organi
direttamente rappresentativi nei confronti dei contribuenti. 
    Essendo venuto meno tale fondamentale  requisito,  non  puo'  che
confermarsi l'illegittimita' costituzionale della disciplina in esame
anche sotto questo profilo. Sempre sotto  il  profilo  dell'autonomia
finanziaria e dell'autorita' impositiva dell'ente  metropolinato,  la
disciplina riconducibile alle norme impugnate viola  altresi'  l'art.
117, primo comma, della Costituzione,  in  relazione  all'articolo  9
della gia' menzionata Carta europea dell'autonomia locale,  rubricato
«Risorse finanziarie dell'autonomia locale». 
    Il primo comma dell'art. 9 dispone che «Le  collettivita'  locali
hanno diritto, nell'ambito  della  politica  economica  nazionale,  a
risorse proprie sufficienti, di  cui  possano  disporre,  liberamente
nell'esercizio delle loro competenze». 
    Il terzo comma dell'art. 9 prevede  poi  che  «Una  parte  almeno
delle risorse finanziarie delle collettivita' locali  deve  provenire
da tasse e imposte locali di cui esse hanno facolta' di stabilire  il
tasso nei limiti previsti dalla legge», mentre il  successivo  quarto
comma specifica che «I sistemi finanziari, che sostengono le  risorse
di cui dispongono le collettivita' locali, devono  essere  di  natura
sufficientemente diversificata ed evolutiva per  consentire  loro  di
seguire, in pratica, per  quanto  possibile,  l'andamento  reale  dei
costi di esercizio delle loro competenze». 
    Da ultimo,  il  sesto  comma  dell'articolo  9  prevede  che  «Le
collettivita' locali dovranno essere  opportunamente  consultate  per
quanto riguarda le modalita' dell'assegnazione, nei  loro  confronti,
delle risorse nuovamente distribuite». 
    Anche  le  disposizioni  in   esame   riconducono   evidentemente
l'autonomia finanziaria e l'autorita'  impositiva  riconosciuta  alle
autonomie  locali  alla  necessaria  democraticita'  della  forma  di
governo di queste ultime (come prescritta dal gia' invocato  art.  3,
comma 2, della Carta), presupposto che nel caso di specie  e'  venuto
meno. 
    8. I predetti profili di incostituzionalita' non  possono  essere
superati dal successivo art. 1, comma 22, ove si accorda allo Statuto
della Citta' metropolitana la possibilita'  di  prevedere  l'elezione
diretta del Sindaco e del Consiglio metropolitano. 
    Questa  possibilita',  infatti,  e'  subordinata  alle   seguenti
condizioni: 
      i) Approvazione del sistema elettorale con legge statale; 
      ii) Articolazione del territorio del Comune capoluogo  in  piu'
Comuni, entro la data di indizione delle elezioni  (su  proposta  del
Comune capoluogo, da sottoporre a referendum  secondo  le  rispettive
leggi regionali, approvata  dalla  maggioranza  dei  partecipanti  al
voto); 
      iii) Istituzione di nuovi Comuni ad opera della Regione ex art.
133 della Costituzione. 
    Si tratta, infatti, di condizioni manifestamente irragionevoli ed
ingiustificatamente gravose, che eludono l'art. 3 della Costituzione,
impedendo di fatto alla Citta' metropolitana di dotarsi di un governo
di stampo democratico. Senza  considerare  che  la  condizione  della
preventiva articolazione del Comune capoluogo in piu'  Comuni  elude,
ancora in  violazione  dell'art.  3  Cost.,  l'intero  spirito  della
riforma, che e' quello di promuovere le unioni e fusioni di Comuni. 
    Ne' una simile censura puo' essere scalfita  dalla  possibilita',
prevista  nell'ultimo  periodo  del  comma  22  per  le  sole  Citta'
metropolitane con piu' di tremila abitanti, che in  alternativa  alle
condizioni precedenti si possa far luogo all'elezione del  Sindaco  e
del Consiglio metropolitano a suffragio universale qualora lo Statuto
della citta' metropolitana preveda la costituzione di zone  omogenee,
ai sensi del precedente comma 11, lett. c), della  legge  gravata,  e
che il comune capoluogo abbia realizzato la ripartizione del  proprio
territorio in zone dotate di autonomia  amministrativa,  in  coerenza
con lo Statuto della Citta' metropolitana. 
    Anche in questo caso, infatti, si tratta di adempimenti  gravosi,
irragionevoli e di non immediata applicabilita', che compromettono in
radice la possibilita' che la Citta' metropolitana si  doti,  sin  da
subito, di  una  forma  di  governo  effettivamente  rappresentativa.
Inoltre la possibilita' di  articolare  il  territorio  della  Citta'
metropolitana in zone omogenee, prevista dall'art. 1, comma 11, lett.
c) della legge impugnata, non e' rimessa  alla  sola  volonta'  della
Citta' metropolitana, ma e' subordinata alla preventiva intesa con la
Regione, ulteriore adempimento idoneo, nella specie, ad aggravare  il
procedimento previsto per l'elezione diretta degli  organi  dell'ente
metropolitano. 
    Sotto il profilo dell'irragionevolezza, ancora, non  si  vede  il
nesso fra l'elezione a suffragio universale e  diretto  degli  organi
della Citta' metropolitana - che riguarda appunto la forma di governo
dell'ente - con la  richiesta  articolazione  della  stessa  in  zone
omogenee, o con la ripartizione del territorio del  Comune  capoluogo
in zone dotate di autonomia amministrativa, profili  invece  inerenti
l'organizzazione e la distribuzione delle competenze e delle funzioni
amministrative. 
    Senza  contare  che,  per  tutto  quanto  detto,  la   necessaria
democraticita'   delle   forme   di   governo   delle   articolazioni
repubblicane e' prescritta direttamente dalla Costituzione e non puo'
dunque essere  subordinata,  da  parte  del  legislatore  statale,  a
nessuna condizione, se non eludendo, ancora una volta,  gli  articoli
1, 3, 5, 114 e 138 della Carta costituzionale. 
    9. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si insiste
affinche' codesta Ecc.ma  Corte  voglia  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 7, 8, 9, 19, 25 e 42,  della  legge
n. 56 del 2014, per violazione degli artt. 1, 3,  5,  48,  114,  117,
comma 1, 118 e 119 Cost.. 
B) Sulla disciplina delle Province 
    I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 54,  55,  56,
58, 69, della legge n. 56 del 2014, per violazione degli articoli  1,
3, 5, 48, 114, 117, comma 1, 118, 119 e 138 Cost.. 
    1. Al pari di quanto si e' gia' eccepito per la forma di  governo
delle Citta' metropolitane, anche la disciplina che la  legge  n.  56
del 2014 riserva alla forma di  governo  delle  Province  residue  si
mostra avvinta da numerosi profili di incostituzionalita'. 
    Volendo riassumere brevemente il contenuto delle  norme  gravate,
il comma 54 dell'art.  1,  individua  quali  organi  della  Provincia
«esclusivamente»  il  Presidente  della   Provincia,   il   Consiglio
Provinciale e l'Assemblea dei sindaci. 
    Il comma 55 dell'art. 1, individua poi le competenze dei suddetti
organi: in particolare il Presidente rappresenta  l'ente,  convoca  e
presiede  il  Consiglio  Provinciale  e  l'Assemblea   dei   sindaci,
sovrintende  al  funzionamento  dei  servizi   e   degli   uffici   e
all'esecuzione  degli  atti,  nonche'  esercita  le  altre   funzioni
attribuite dallo statuto; il Consiglio  Provinciale  e'  l'organo  di
indirizzo e controllo, propone all'Assemblea dei sindaci lo  statuto,
approva regolamenti, piani e programmi, approva in via  definitiva  i
bilanci dell'ente, ed esercita le  altre  funzioni  attribuite  dallo
statuto; l'Assemblea dei  sindaci,  invece,  ha  poteri  propositivi,
consultivi e di controllo «secondo quanto  disposto  dallo  statuto»,
adotta o respinge lo statuto e le sue successive modificazioni (con i
voti che rappresentino almeno un  terzo  dei  Comuni  compresi  nella
Provincia e la maggioranza della popolazione residente),  ed  esprime
il parere sui bilanci dell'ente. 
    Il comma 56 dell'art. 1, dispone che l'Assemblea dei  sindaci  e'
costituita dai sindaci dei Comuni appartenenti alla Provincia, mentre
il successivo comma 58 prevede che il presidente della  Provincia  e'
eletto dai Sindaci e dai Consiglieri dei Comuni della Provincia. 
    2. Anche per il governo Provinciale, dunque, le  norme  impugnate
hanno previsto una forma di governo sostanzialmente di secondo grado.
Per il Presidente e il Consiglio Provinciale  sono  infatti  previsti
sistemi di elezione indiretta,  mentre  l'Assemblea  dei  sindaci  e'
composta dai sindaci dei Comuni della Provincia. 
    Peraltro deve escludersi che l'Assemblea  dei  sindaci  partecipi
della natura di una camera elettiva. Cio' discende sia dal fatto  che
la legge gravata non ne  prevede  l'elezione  diretta  da  parte  dei
cittadini, sia da specifiche caratteristiche di carattere  funzionale
e strutturale. Precisamente, l'Assemblea non esercita alcuna funzione
che sia tipica di una camera elettiva, essendole riservati (comma 55)
solo poteri propositivi e consultivi, nonche' il compito di approvare
lo statuto e di esprimere il parere  sul  bilancio  dell'ente,  senza
tuttavia poter esercitare  l'iniziativa  statutaria,  e  senza  poter
contribuire alla predisposizione dei bilanci (atti di competenza  del
Consiglio,  organo  elettivo  di  II  grado).  Anche  le   condizioni
strutturali di esercizio delle suddette competenze non soddisfano  il
principio  democratico-rappresentativo.   Infatti   l'Assemblea   dei
sindaci non puo' far valere un giudizio di  responsabilita'  politica
nei confronti dei due organi ad elezione indiretta, il  Presidente  e
il Consiglio, sicche' una volta eletti questi due  organi,  ai  quali
come visto la legge riserva la direzione politica  della  gran  parte
delle funzioni dell'ente, viene definitivamente reciso il legame  con
la rappresentanza politica che piu' si avvicina  a  quella  di  primo
grado (l'Assemblea). 
    3. Ebbene, una forma di governo di secondo  grado,  quale  quella
individuata dalle norme impugnate, si pone in  aperto  contrasto,  in
primo  luogo,  con  il  principio   della   rappresentanza   politica
democratica e con il principio di sovranita' popolare di cui all'art.
1 della Costituzione, letto in combinato disposto con gli artt.  5  e
114 Cost.. 
    Non sfugge a questa difesa che la previsione di organi di governo
ad elezione indiretta  non  sia  di  per  se'  incompatibile  con  il
principio democratico, sicche' non tutti gli organi di governo devono
necessariamente essere ad elezione diretta. Quello che si contesta e'
che, nella specie, nessun organo di governo della Provincia e' eletto
direttamente. 
    Come  visto,  nel  nuovo  modello  di  sistema   Provinciale   il
funzionamento  della  forma  di  governo   si   impernia   pressoche'
esclusivamente  sull'iniziativa,  l'indirizzo  e  le  funzioni  degli
organi a elezione indiretta (il Presidente e  il  Consiglio),  mentre
l'Assemblea dei sindaci  (composta  da  organi  di  diretta  elezione
popolare), ha un rilievo del tutto marginale nei processi decisionali
dell'ente. 
    Ora, l'art. 1 della Costituzione,  definendo  l'Italia  come  una
Repubblica  democratica  fondata  sul  principio   della   sovranita'
popolare, impone  inequivocamente  che  ogni  organo  al  quale  sono
affidate funzioni politiche debba essere inserito  in  una  forma  di
governo quanto meno coerente con tali principi. Cio'  significa  che,
sebbene non sia necessario che tutti gli organi della Provincia siano
direttamente elettivi, e' comunque necessario che la forma di governo
provinciale  sia   complessivamente   coerente   con   il   principio
democratico della sovranita' popolare. 
    Posto che, ai sensi dell'art. 1 Cost., la Repubblica deve  essere
democratica, e che, ai sensi dell'art. 114 Cost.,  la  Repubblica  e'
costituita anche dalle Province, allora non puo' che concludersi  che
queste ultime, in quanto inserite nell'architettura della Repubblica,
devono  essere  «democratiche»,  e  cioe'  organizzate  in  modo   da
rispecchiare il principio della sovranita' popolare. Anche in  questo
caso, merita di essere evidenziato l'insegnamento di  Codesta  Ecc.ma
Corte, secondo il quale «nella formulazione del nuovo art. 114  Cost.
gli enti territoriali autonomi sono collocati a  fianco  dello  Stato
come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne,  in  una
formulazione  sintetica,  la   Comune   derivazione   dal   principio
democratico e dalla sovranita' popolare» (sent.  n.  106  del  2002).
Detta  affermazione  risulta  il  logico  corollario  del   principio
autonomistico di cui all'art. 5 della Carta costituzionale, che erige
a principio  fondamentale  del  sistema  costituzionale  italiano  il
riconoscimento e la promozione delle autonomie locali da parte  della
Repubblica. Ne consegue, allora, che anche  i  livelli  di  autonomia
titolari  di  competenze  pubbliche,  in   quanto   partecipi   della
Repubblica,  sono  titolari  dello  stesso  modello  repubblicano   a
legittimazione  democratica.  Il  principio  autonomistico   di   cui
all'art. 5 Cost., impone infatti che accanto al processo  democratico
statale ve ne siano altri, dislocati sugli ambiti  territoriali  meno
comprensivi,  i  quali  -  fintanto  che  esistono  -  devono  essere
organizzati, appunto, secondo  forme  istituzionali  di  governo  che
soddisfino il principio democratico della sovranita' popolare. 
    I predetti imprescindibili vincoli, come si e' visto, sono  stati
illegittimamente travalicati dal legislatore statale, che  attraverso
le norme impugnate ha disegnato un sistema di governo provinciale del
tutto disancorato dal modello di rappresentanza  democratica  imposto
dagli artt. 1, 5 e 114 della  Costituzione.  Si  tratta  di  principi
cardine nell'architettura costituzionale, che disegnano e legittimano
la nostra forma di governo repubblicana e,  con  essa,  quella  delle
articolazioni   territoriali   riconosciute    espressamente    dalla
Costituzione quali parti  della  Repubblica.  Principi  che,  dunque,
avrebbero potuto essere derogati soltanto con legge costituzionale, e
non certo attraverso lo strumento della legge ordinaria, che da  essi
promana e ai quali e' evidentemente vincolata. Ne discende dunque  la
violazione, da parte  delle  norme  impugnate,  anche  dell'art.  138
Cost.. 
    Peraltro, nella nuova forma di governo provinciale questa assenza
di democraticita' non  e'  nemmeno  compensata,  nei  due  organi  ad
elezione  indiretta   (Presidente   della   Provincia   e   Consiglio
provinciale),  da   un'adeguata   capacita'   rappresentativa   delle
minoranze dei singoli Comuni. Si e' detto, infatti, che a  norma  dei
commi 58  e  60  dell'art.  1,  per  il  Presidente  della  Provincia
l'elettorato passivo e'  circoscritto  ai  sindaci  della  Provincia,
mentre l'elettorato attivo spetta ai sindaci  e  ai  consiglieri  dei
comuni della Provincia. Quanto al Consiglio provinciale, il comma  69
dell'art. 1, circoscrive l'elettorato attivo e passivo ai  sindaci  e
ai consiglieri comunali dei comuni della provincia. Come si  e'  gia'
eccepito  per  la  forma  di  governo  delle   neo-istituite   Citta'
metropolitane, anche in questo caso al deficit di  rappresentativita'
risultante dal difetto di legittimazione democratica dei  due  organi
ad  elezione  indiretta,   si   aggiunge   l'ulteriore   deficit   di
rappresentativita' «a monte», dovuto  all'operativita',  nel  sistema
elettorale dei comuni, del meccanismo del  «premio  di  maggioranza».
Sara' dunque inevitabile che sia i sindaci che i consiglieri comunali
chiamati ad eleggere il Presidente della  Provincia  e  il  Consiglio
provinciale, nonche', se eletti, a farne parte, siano espressione  di
una medesima parte politica. 
    Dal che risulta avvalorata, anche sotto  l'esposto  versante,  la
censura  di  incostituzionalita'  articolata  avverso  le  norme  che
disciplinano la nuova forma di governo  provinciale,  per  violazione
del principio democratico di cui agli artt. 1, 5 e 114 Cost.. 
    4. Come si e' gia' eccepito per la forma di governo delle  Citta'
metropolitane, le  norme  rubricate  meritano  di  essere  dichiarate
incostituzionali anche per violazione  dell'art.  117,  primo  comma,
della  Costituzione,  in  relazione  all'art.  3,  comma   2,   della
menzionata   Carta   europea    dell'autonomia    locale    (trattato
internazionale reso esecutivo in Italia  con  la  legge  30  dicembre
1989, n. 439). 
    L'art. 3, comma 1, della Carta,  stabilisce  che  «Per  autonomia
locale, s'intende  il  diritto  e  le  capacita'  effettiva,  per  le
collettivita' locali, di regolamentare  ed  amministrare  nell'ambito
della  legge,  sotto  la  loro  responsabilita',  e  a  favore  delle
popolazioni, una parte importante di affari pubblici». 
    Il secondo comma  dell'art.  3  specifica  poi,  per  quanto  qui
rileva, che «Tale diritto  e'  esercitato  da  Consigli  e  Assemblee
costituiti da membri eletti a suffragio libero,  segreto,  paritario,
diretto e universale,  in  grado  di  disporre  di  organi  esecutivi
responsabili nei loro confronti». 
    La norma in esame impone, dunque, la necessita' che l'autonomia o
autogoverno  locale  (quale  senz'altro  quello  delle  Province)  si
eserciti necessariamente almeno per mezzo  di  consigli  o  assemblee
elette a suffragio, libero, segreto e uguale,  che  esprimano  organi
esecutivi politicamente  responsabili.  Cio'  che  assolutamente  non
ricorre, per tutto quanto detto, nel modello di  governo  provinciale
disegnato dalle norme impugnate. 
    Si ribadisce che il menzionato art. 3 della Carta assume il rango
di norma cogente, la cui violazione da parte  del  legislatore  dello
Stato deve censurarsi con la declaratoria di  incostituzionalita'  ai
sensi dell'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione.  La  Corte
costituzionale ha infatti ormai da tempo  accolto  la  tesi  per  cui
anche le norme internazionali  pattizie  integrano  il  parametro  di
costituzionalita'    delle     legge,     mediante     la     tecnica
dell'interposizione normativa (cfr. le note  «sentenze  gemelle»  nn.
348 e 349 del 2007). L'operativita' dell'art.  117,  comma  1,  della
Costituzione, in relazione alla Carta europea dell'autonomia  locale,
e'  stata  poi  esplicitamente  riconosciuta  dalla  Consulta,   come
evidenziato sopra, a seguito di un incontro con una  delegazione  del
«Congress of local and regional authorities» del Consiglio  d'Europa,
avvenuto il 3.11.11. 
    Risulta dunque confermata l'illegittimita'  costituzionale  delle
norme  impugnate  per  violazione  dell'art.  117,  comma  1,   della
Costituzione, in relazione all'art. 3, comma 2, della  Carta  europea
dell'Autonomia locale, il quale prescrive chiaramente  la  necessita'
che la nella forma di governo dell'autonomia locale ci sia almeno  un
organo  collegiale  a  elezione  popolare  diretta,  che  esprima  un
esecutivo politicamente responsabile. 
    5. In senso analogo a quanto gia'  eccepito  per  il  modello  di
governo metropolitano, inoltre, la disciplina risultante dalle  norme
in rubrica viola altresi' il principio di sussidiarieta' verticale di
cui all'art. 118 Cost., nonche' il principio di ragionevolezza di cui
all'art. 3 Cost.. Quest'ultimo impone che, ai  fini  dell'allocazione
della funzione amministrativa al livello piu' prossimo  al  cittadino
ai sensi dell'art. 118 Cost.,  i  processi  deliberativi  degli  enti
costitutivi della Repubblica siano affidati a livelli di Governo  che
risultino in qualche misura omologhi,  si  potrebbe  dire  «omogenei»
quanto al grado di democraticita'. 
    La forma di governo provinciale disegnata  dalla  legge  gravata,
invece, essendo costituita da organi elettivi di  secondo  grado  non
responsabili ne' rispetto al corpo  elettorale  di  riferimento,  ne'
rispetto ad un'Assemblea direttamente elettiva, risulta incompatibile
con il vigente modello  costituzionale  di  allocazione/distribuzione
delle funzioni amministrative,  ed  anzi  ne  comporta  illogicamente
l'inversione. E' evidente,  infatti,  che  nella  scelta  della  sede
territoriale  cui  allocare  le   funzioni   amministrative,   verra'
irragionevolmente  preferito  il  livello  piu'  comprensivo  (quello
regionale), invece che quello  piu'  prossimo  al  cittadino  (quello
provinciale),  in  quanto  solo  nel  primo  gli  organi  di  governo
rispondono direttamente ai cittadini attraverso l'elezione popolare. 
    6. Deve rilevarsi, ancora, che la forma  di  governo  provinciale
individuata dalle norme  gravate,  nella  quale  la  totalita'  degli
organi non ha legittimazione democratica diretta, si pone altresi' in
contrasto con l'art. 119 Cost.. L'autonomia finanziaria di entrata  e
di spesa e l'autorita' impositiva riconosciuta agli enti territoriali
dalla norma in esame, infatti, e' stata storicamente  e  unanimemente
ricondotta, con ratio evidente,  alla  responsabilita'  degli  organi
direttamente rappresentativi nei confronti dei contribuenti. 
    Essendo venuto meno tale fondamentale  requisito,  non  puo'  che
confermarsi l'illegittimita' costituzionale della disciplina in esame
anche sotto questo versante. 
    Sempre   sotto   il   profilo   dell'autonomia   finanziaria    e
dell'autorita' impositiva, la  disciplina  riconducibile  alle  norme
impugnate viola altresi' l'art. 117, primo comma, della Costituzione,
in relazione all'articolo  9  della  gia'  menzionata  Carta  europea
dell'autonomia locale, rubricato «Risorse finanziarie  dell'autonomia
locale». Il primo comma dell'art. 9  dispone  che  «Le  collettivita'
locali hanno diritto, nell'ambito della politica economica nazionale,
a risorse proprie sufficienti, di cui  possano  disporre  liberamente
nell'esercizio delle loro competenze» . 
    Il terzo comma dell'art. 9 prevede  poi  che  «Una  parte  almeno
delle risorse finanziarie delle collettivita' locali  deve  provenire
da tasse e imposte locali di cui esse hanno facolta' di stabilire  il
tasso nei limiti previsti dalla legge» , mentre il successivo  quarto
comma specifica che «I sistemi finanziari, che sostengono le  risorse
di cui dispongono le collettivita' locali, devono  essere  di  natura
sufficientemente diversificata ed evolutiva per  consentire  loro  di
seguire, in pratica, per  quanto  possibile,  l'andamento  reale  dei
costi di esercizio delle loro competenze». 
    Da ultimo,  il  sesto  comma  dell'articolo  9  prevede  che  «Le
collettivita' locali dovranno essere  opportunamente  consultate  per
quanto riguarda le modalita' dell'assegnazione, nei  loro  confronti,
delle risorse nuovamente distribuite». 
    Anche  le  disposizioni  in   esame   riconducono   evidentemente
l'autonomia finanziaria e l'autorita'  impositiva  riconosciuta  alle
autonomie  locali  alla  necessaria  democraticita'  della  forma  di
governo di queste ultime (come prescritta dal gia' invocato  art.  3,
comma 2, della Carta), presupposto che nel caso di specie  e'  venuto
meno. 
    7. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si insiste
affinche' codesta Ecc.ma  Corte  voglia  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 54, 55, 56, 58 e 69, della legge n.
56 del 2014, per violazione degli artt. 1, 3, 5, 48, 114, 117,  comma
1, 118, 119 e 138 Cost.. 
C) Sulla disciplina di riordino delle funzioni 
I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 89, 90, 91, 92  e
95, della legge n. 56 del 2014, per violazione  degli  artt.  3,  97,
114, 117, comma 2, lett. p), comma 3 e comma 4, 118, 120 e 138 Cost.. 
    1.  Non  sfugge  a  censure  di  incostituzionalita'  nemmeno  la
disciplina che la legge n. 56 del  2014  riserva  al  riordino  delle
funzioni delle Province. 
    Riassumendo brevemente il contenuto delle norme  in  rubrica,  al
fine di agevolare la successiva esposizione, si precisa che il  comma
89 dell'art. 1, dispone che  lo  Stato  e  le  regioni,  «secondo  le
rispettive competenze», attribuiscono le funzioni provinciali diverse
da quelle fondamentali (individuate  al  precedente  comma  85),  «in
attuazione dell'art.  118  della  Costituzione»,  anche  al  fine  di
conseguire le finalita' ivi meglio specificate. 
    Il successivo comma 90  dell'art.  1,  prevede  alcuni  «principi
fondamentali»   in   materia   di   attribuzione   di   funzioni   di
organizzazione dei servizi  di  rilevanza  economica,  di  competenza
comunale o provinciale, a enti o agenzie in ambito provinciale o  sub
provinciale,  qualificati  anche  come  «principi   fondamentali   di
coordinamento della finanza pubblica». 
    Il comma 91 dell'art. 1, stabilisce che lo  Stato  e  le  Regioni
individuano, entro tre mesi dall'entrata in vigore della  legge,  «le
funzioni di cui al comma  89  oggetto  del  riordino  e  le  relative
competenze»,  mediante  accordo  sancito  in  Conferenza   unificata,
sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.  Ai
sensi del comma 92 dell'art. 1, poi, entro tre  mesi  dalla  data  di
entrata in vigore della legge, dovranno essere  stabiliti  i  criteri
generali  per  l'individuazione   dei   beni   strumentali,   risorse
finanziarie,   umane,   strumentali    e    organizzative    connesse
all'esercizio delle  funzioni  che  devono  essere  trasferite  dalle
Province agli enti subentranti a norma dei commi  precedenti;  a  tal
fine lo strumento individuato e' un D.P.C.M. preceduto da intesa  con
la  Conferenza  unificata.  Le  risorse  da  trasferire   agli   enti
subentranti sono, in particolare, quelle gia' spettanti alle Province
ai  sensi  dell'art.  119  Cost.,  detratte  quelle  necessarie  alle
funzioni fondamentali. Il comma 95 dell'art. 1, impone alla  Regione,
sentite le OO.SS. maggiormente rappresentative,  di  dare  attuazione
all'accordo di cui al comma 91, entro 6 mesi dalla data di entrata in
vigore della legge, prevedendo, in caso  contrario,  l'esercizio  del
potere sostitutivo ex art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. 
    2. Attraverso le disposizioni in esame  il  legislatore,  da  una
parte, ha individuato le  funzioni  fondamentali  delle  Province  ai
sensi  dell'art.  117,  comma  2,  lett.  p),   della   Costituzione,
dall'altra ha inopinatamente articolato un  inedito  procedimento  di
concertazione  fra  Stato  e  Regioni,  per  di  piu'   vincolato   a
tempistiche  estremamente  ristrette,  per  l'individuazione   e   la
riallocazione delle funzioni gia' provinciali non fondamentali, e per
l'individuazione  dei  beni  e  delle  risorse  finanziarie,   umane,
strumentali e organizzative, connesse  all'esercizio  delle  funzioni
oggetto di trasferimento. 
    3. In via preliminare, occorre  rilevare  che  la  disciplina  in
esame non si mostra di agevole interpretazione.  Non  e'  chiaro,  in
particolare, se le funzioni  non  fondamentali  oggetto  di  riordino
possano  essere  mantenute  in  capo  alle  Province,  che  gia'   le
esercitavano, ovvero se la disciplina di riallocazione qui  in  esame
ne imponga necessariamente il trasferimento agli altri enti (Regioni,
Comuni e unioni di Comuni, Governo centrale). 
    In quest'ultimo senso sembra deporre  il  gia'  citato  comma  92
dell'art. 1, ove si prevede  che,  nella  definizione  delle  risorse
connesse all'esercizio delle funzioni che devono  essere  trasferite,
«sono  considerate  le  risorse  finanziarie,  gia'  spettanti   alle
province ai sensi dell'articolo 119 della  Costituzione,  che  devono
essere  trasferite  agli  enti  subentranti  per  l'esercizio   delle
funzioni loro attribuite, dedotte  quelle  necessarie  alle  funzioni
fondamentali e fatto comunque salvo quanto previsto dal comma 88». 
    Ebbene, se la disciplina in esame dovesse  intendersi  nel  senso
che  alle  Province  spettano  solo   le   funzioni   definite   come
«fondamentali», allora le norme impugnate dovranno essere  dichiarate
incostituzionali per manifesta  violazione  dell'art.  117,  terzo  e
quarto comma, 118 e 138 della Costituzione. 
    In questo modo, infatti,  la  Regione  verrebbe  illegittimamente
spogliata del  potere  di  allocare  le  funzioni  amministrative  di
propria competenza nei confronti della Provincia, secondo principi di
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. 
    Tale imposizione appare tanto piu' arbitraria,  ingiustificata  e
illegittima ove si consideri che la legge gravata  non  determina  la
soppressione assoluta delle Province  residue,  le  quali,  ancorche'
depotenziate,    continuano    comunque    ad     essere     presenti
nell'ordinamento.    Ben    possono,    quindi,     essere     scelte
discrezionalmente  dalle   Regioni   quali   soggetti   istituzionali
destinatari delle funzioni regionali, cosi' come del resto  stabilito
dallo stesso art. 118 Cost.. 
    L'obbligo di riallocazione delle funzioni imposto al  legislatore
regionale  determina   dunque,   in   questa   chiave   di   lettura,
un'illegittima invasione delle attribuzioni della Regione ricorrente,
nella misura in cui viene a limitare la sua autonomia in merito  alla
determinazione  del  livello  territoriale  di  governo  piu'  idoneo
all'esercizio di funzioni di propria competenza. 
    Invasione tanto piu' grave e manifesta ove solo si consideri  che
il comma 95 dell'art. 1,  prevede  espressamente  l'esercizio  di  un
potere sostitutivo statale in caso  di  mancato  trasferimento  delle
funzioni entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore
della legge, in manifesta violazione  anche  dell'art.  120,  secondo
comma, e dell'art. 3 Cost.. 
    A cio' si aggiunga che - se interpretata in  questo  senso  -  la
disciplina gravata risulterebbe incostituzionale anche  in  relazione
agli articoli 97, 114, 117 e 138  della  Costituzione,  relativamente
alle attribuzioni delle Province. Verrebbe, infatti, disconosciuta la
natura  della  Provincia  quale  ente  autonomo   costitutivo   della
Repubblica, cui spetta una sfera di poteri,  funzioni  e  competenze,
comprimibile solo con il procedimento di revisione costituzionale, in
violazione dell'art. 138 Cost..  Non  solo.  Risulterebbe  gravemente
menomata anche l'autonomia statutaria, organizzativa,  e  finanziaria
dell'ente, nonche' la riserva di potere regolamentare di cui all'art.
117, comma 6, della Costituzione. La preclusione per  la  Regione  di
allocare  le  funzioni   amministrative   al   livello   di   governo
provinciale, qualora ritenuto ottimale ai sensi dell'art. 118  Cost.,
inoltre, condurrebbe all'inevitabile ma inaccettabile  risultato  per
cui quelle  stesse  funzioni  amministrative  non  potrebbero  essere
esercitate  secondo  i  principi  di  buon   andamento,   efficienza,
efficacia, economicita', con conseguente violazione  anche  dell'art.
97 Cost.. 
    E' evidente, stante quanto precede, l'illegittimita' delle  norme
impugnate, se interpretate nel senso di  escludere  le  Province  dai
possibili  destinatari  di  funzioni  amministrative  di   competenza
regionale, per violazione degli articoli 3, 97,  114,  117,  terzo  e
quarto comma, 118, 120, secondo comma, e 138 della Costituzione. 
    4. Cio' posto, preme poi evidenziare che, anche  nell'ipotesi  in
cui  il  processo  di  riordino  disciplinato  dalle  norme   gravate
contemplasse la possibilita'  di  mantenere  in  capo  alle  Province
determinate funzioni non fondamentali, queste ultime si mostrerebbero
comunque incostituzionali sotto ulteriori profili. 
    La disciplina sopra  riassunta  si  mostra,  in  particolare,  in
stridente contrasto con l'art. 117, secondo comma,  lett.  p),  della
Costituzione, in combinato disposto con gli artt. 117, commi 3 e 4, e
118 Cost., nonche' con  gli  artt.  3  e  97  Cost..  Il  legislatore
statale, infatti, al di fuori della competenza esclusiva  in  materia
di «funzioni  fondamentali  delle  Province»,  non  ha  alcun  titolo
competenziale per stabilire, in maniera sistematica, le  modalita'  e
le tempistiche per la riallocazione delle finzioni «non fondamentali»
di competenza regionale. 
    In particolare, esorbita dalla materia di cui all'art. 117, comma
2, lett. p), e costituisce una manifesta lesione dei principi di  cui
all'art. 118 Cost., la previsione di cui al comma 89 dell'art. 1, ove
si prevede che lo Stato e le Regioni, «nell'ambito  delle  rispettive
competenze», devono  allocare  le  funzioni  provinciali  diverse  da
quelle fondamentali. Sebbene la  norma  faccia  espresso  riferimento
all'art.  118  Cost.,  infatti,  quest'ultima  detta  al  legislatore
regionale alcuni principi con esso incompatibili. In  particolare  si
prevede  che  l'allocazione  delle  funzioni   amministrative   debba
avvenire  nel  rispetto  delle  seguenti  finalita':   individuazione
dell'ambito territoriale ottimale di esercizio per ciascuna funzione;
efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte  dei
Comuni e delle unioni di Comuni; sussistenza di riconosciute esigenze
unitarie; adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio tra
gli enti territoriali coinvolti nel processo  di  riordino,  mediante
intese o convenzioni; valorizzazione di forme di esercizio  associato
di funzioni da parte  di  piu'  enti  locali,  nonche'  di  forme  di
autonomia funzionale. 
    Ebbene, i limiti e vincoli imposti al legislatore regionale fuori
dagli ambiti di competenza dello Stato,  comprimono  illegittimamente
il   potere   costituzionalmente   riconosciuto   alla   Regione   di
individuare, secondo i principi di sussidiarieta', differenziazione e
adeguatezza,  il  livello  territoriale  di   governo   piu'   idoneo
all'esercizio delle funzioni amministrative  di  propria  competenza.
Illegittima  si  mostra  dunque,  sotto  i  medesimi  profili,  anche
l'imposizione alla Regione di addivenire  -  peraltro  nel  ristretto
termine di tre mesi dalla entrata in  vigore  della  legge  -  ad  un
accordo  in  Conferenza  unificata  in  ordine  alle   funzioni   non
fondamentali di propria competenza oggetto di riordino (comma 91). 
    Lo Stato  non  ha,  di  conseguenza,  nemmeno  alcun  titolo  per
pretendere che la Regione dia attuazione al suddetto accordo, per  di
piu' nel ristrettissimo termine di sei mesi dalla data di entrata  in
vigore  della  legge,  ne',  dunque,  sussistono  i  presupposti  per
l'adozione dei poteri sostitutivi del Governo ai sensi dell'art. 120,
comma 2, Cost., e dell'art. 8, legge 5 giugno 2003, n. 131. 
    Senza contare che, nei casi in cui  vi  sia  uno  spostamento  di
competenze amministrative a seguito di attrazione in  sussidiarieta',
la Corte costituzionale ha  escluso  che  possa  essere  previsto  un
potere sostitutivo, dovendosi ritenere che la  leale  collaborazione,
necessaria in tale evenienza, non possa essere sostituita puramente e
semplicemente da un atto unilaterale dello Stato (sentenze n. 165 del
2011 e n. 383 del 2005). 
    Per gli stessi motivi, e' illegittima la prescrizione di  cui  al
comma 92, che impone al a Regione di esprimere l'intesa in Conferenza
unificata, propedeutica all'emanazione di un D.P.CM. -  da  emettersi
anch'esso nel ristrettissimo termine  di  tre  mesi  dall'entrata  in
vigore della legge, il che postula un termine ancora inferiore per il
raggiungimento  dell'intesa  -  recante  i   criteri   generali   per
l'individuazione dei beni e risorse strumentali  all'esercizio  delle
funzioni da riallocare. Esorbita,  infatti,  dalle  attribuzioni  che
l'art. 117, comma 2, lett.  p),  Cost.,  riserva  allo  Stato,  tanto
l'imposizione  alla  Regione  dei  tempi  e   delle   modalita'   per
l'individuazione dei predetti mezzi e risorse, quanto la possibilita'
che,  nell'ambito  delle  funzioni  di   competenza   regionale,   la
definizione dei criteri per procedere  a  tale  individuazione  siano
deferiti ad un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. 
    La disciplina  contestata,  dunque,  oltre  ad  esorbitare  dalle
attribuzioni statali di cui all'art. 117, secondo  comma,  lett.  p),
della Costituzione, comprime inopinatamente il potere  della  Regione
ricorrente di individuare  il  miglior  livello  di  esercizio  delle
funzioni di propria competenza, secondo i principi di sussidiarieta',
differenziazione a adeguatezza, nonche' di stabilire  le  tempistiche
per il riordino e di individuare le risorse connesse  agli  eventuali
trasferimenti, in manifesta violazione anche degli artt. 117, commi 3
e 4, e 118  Cost..  Tale  compressione,  sotto  concorrente  profilo,
sacrifica  indebitamente  anche  i  principi  che  regolano  l'azione
amministrativa ai sensi dell'art. 97 Cost.. I vincoli  imposti  dallo
Stato al collocamento delle funzioni  amministrative  al  livello  di
governo  ottimale,  infatti,  producono   l'effetto   di   distorcere
l'esercizio di quelle stesse funzioni, ostacolando  il  perseguimento
del    buon    andamento,    dell'efficienza,    dell'efficacia     e
dell'economicita' nel relativo esercizio, con conseguente  violazione
anche dell'art. 97 Cost.. 
    Cio' riflette altresi' il  grave  deficit  delle  norme  gravate,
sotto il profilo della ragionevolezza e della coerenza con gli  scopi
perseguiti dalla legge n.  56  del  2014,  che  sono  dichiaratamente
quelli di disciplinare Citta' metropolitane,  Province  e  unioni  di
Comuni «al fine di  adeguare  il  loro  ordinamento  ai  principi  di
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza» (comma  1).  Dal  che
discende anche l'illegittimita' costituzionale delle norme  impugnate
per violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    5. Le considerazioni che precedono valgono,  a  maggior  ragione,
per le funzioni amministrative  afferenti  a  materie  di  competenza
residuale della Regione. 
    E' ancor piu' evidente, infatti, che per tali ambiti lo Stato non
abbia  alcun  titolo  ne'  nel  dettare  principi   fondamentali   di
allocazione (quali l'ambito territoriale ottimale  di  esercizio,  la
sussistenza  di  riconosciute  esigenze  unitarie,  ecc.),  ne'   per
richiedere il raggiungimento dell'intesa ai fini  dell'individuazione
delle  funzioni  da  riallocare  e  delle  relative  competenze,  ne'
tantomeno per  pretenderne  l'attuazione  da  parte  del  legislatore
regionale e per esercitare, in caso contrario, il potere  sostitutivo
di cui  all'art.  120  Cost..  Allo  stesso  modo,  per  le  funzioni
afferenti le materie di  competenza  residuale,  la  Regione  non  e'
tenuta a raggiungere l'intesa in conferenza unificata ai  fini  della
determinazione  dei  criteri  per  l'individuazione   delle   risorse
connesse alle materie oggetto di trasferimento. 
    Infatti, in relazione alle materie di cui  all'art.  117,  quarto
collima, Cost., spetta unicamente alla Regione dettare sia i principi
che  le  norme  di  dettaglio  sulla   allocazione   delle   funzioni
amministrative. 
    6. L'intervento normativo in esame si  mostra  costituzionalmente
illegittimo   anche   sotto   il   piu'   generale   versante   della
ragionevolezza,  dell'opportunita'  e  della  coerenza  con  i   fini
perseguiti,  ponendosi  in  contraddizione  con  i  principi  di  cui
all'art. 3 Cost., e con il principio del buon  andamento  dell'azione
amministrativa di cui all'articolo 97 Cost.. 
    Di  tanto  costituisce  indizio  evidente,  in  primo  luogo,  il
carattere dichiaratamente provvisorio della contestata riforma (nelle
more della riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione). 
    In secondo luogo si evidenzia come le norme impugnate, invece  di
riordinare e semplificare l'ordinamento locale, secondo i principi di
sussidiarieta' differenziazione e adeguatezza  richiamati  dal  primo
comma  dell'art.  1,  conducono  alla  paradossale   alternativa   di
centralizzare le funzioni in capo allo Stato o alla  Regione,  ovvero
di moltiplicare gli enti (unioni di Comuni) che  dovrebbero  svolgere
le  funzioni  di  area  vasta.   Cio'   determinera'   un   sensibile
indebolimento della capacita' amministrativa, impedendo di  fatto  il
perseguimento del fine del buon andamento di cui all'art. 97 Cost., e
privera' altresi' i cittadini e le imprese di un punto di riferimento
certo in ordine al soggetto titolare  delle  funzioni,  incidendo  in
termini   negativi   proprio   sull'attuazione   del   principio   di
sussidiarieta' sia verticale che orizzontale. 
    Si  consideri,  ancora,  che   le   misure   di   riforma   della
rappresentanza politica della Provincia e  di  riallocazione  forzata
delle  relative  funzioni,  sono  state   assunte   in   assenza   di
qualsivoglia  indicatore  di  senso   negativo   che   contraddicesse
l'appropriatezza delle Province quale  ambito  territoriale  ottimale
per la gestione delle funzioni relative alle aree vaste. 
    Ora,  sotto  il  profilo  della   ragionevolezza   della   scelta
allocativa, la discrezionalita' del legislatore  deve  misurarsi  con
una  presunzione,  sicuramente  relativa  ma  forte,  di  adeguatezza
dell'ente che fino a  quel  momento  ha  esercitato  le  funzioni  da
riallocare, sulla base  di  dati  reali,  acquisiti  attingendo  alla
concrea esperienza istituzionale. In questo  senso,  la  portata  del
comma 2  dell'art.  118  Cost.,  appresta  una  particolare  garanzia
proprio  con  riferimento  al  patrimonio   forte   di   attribuzioni
amministrative esercitate dalle Province fino all'introduzione  della
disciplina contestata. 
    Peraltro, dovendosi escludere che tutte le  funzioni  provinciali
da   riallocare,   in   base   ai   principi    di    sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza, possano essere  assunte  direttamente
dalla  Regione,  e'  ben  probabile  che  per  effetto  della   nuova
disciplina  si  verifichera'  un  aumento  dei   costi,   determinato
dall'istituzione di nuovi apparati amministrativi sovra-comunali, dal
venir meno delle economie di scala su base provinciale,  nonche',  in
generale,   dalla   necessita'   di   far   fonte   alla   fase    di
riorganizzazione. 
    Da ultimo, si eccepisce anche che la disciplina di cui alla legge
n. 56 del 2014, incide sulle  Province  intese  solo  quali  enti  di
gestione di funzioni amministrative  regionali,  e  non  anche  quali
ambiti  di  articolazione  periferica  dello   Stato.   L'ambito   di
decentramento  statale  di  livello  provinciale,  con   riguardo   a
numerosissime  funzioni,  continua  ad  essere   infatti   pienamente
operativo (si pensi al ruolo  delle  Prefetture,  dei  Provveditorati
scolastici, delle Soprintendenze per i beni culturali). 
    Le considerazioni che precedono  rendono  palese  l'incongruita',
l'inadeguatezza  e  la  radicale   insufficienza   che   avvince   le
disposizioni impugnate, le quali si mostrano viziate  per  violazione
dell'art. 3, 97, 117 e 118 della Costituzione. 
    Si insiste dunque  affinche'  venga  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 89, 90, 91, 92 e 95, della legge n.
56 del 2014, per violazione degli artt. 3, 97,  114,  117,  comma  2,
lett. p), comma 3 e comma 4, 118, 120 e 138 della Costituzione.